di Renzo Occari [user #86] - pubblicato il 19 giugno 2001 ore 10:16
Ricordo con piacere il periodo in cui iniziai a suonare, cercavo di
appoggiare le mie dita sulla tastiera della chitarra alla ricerca di suoni
che "soddisfassero" le mie orecchie; era una sfida con me stesso e l'unica
arma che avevo a disposizione era il mio udito e la capacità di poter
riconoscere ciò che mi poteva piacere, oltre naturalmente alla mia
fantasia e alla
volontà di riuscire nel mio obiettivo. Ricordo che riuscivo pian piano a ricavare qualcosa che funzionava ma mi
rendevo conto che avevo bisogno di qualcos'altro per poter imparare a
suonare davvero. Iniziai, quindi, ad ascoltare un sacco di brani in cui riuscivo a
distinguere bene il suono della chitarra e, di conseguenza, passavo ore ed
ore nel tentativo di imitare e di ripetere ciò che sentivo sui dischi; era
un'enorme soddisfazione scoprire come dovevo mettere le mani per ottenere
quegli accordi che sentivo. Passarono alcuni anni e decisi di iniziare a studiare seriamente. Da allora
ho frequentato diversi corsi in diverse scuole italiane di musica moderna e
fin dalla prima lezione iniziai a razionalizzare e a schematizzare i
movimenti delle mani e delle note. Studiare è, senza ombra di dubbio, indispensabile per raggiungere buoni
livelli ma bisogna fare un pò attenzione a non rimanere "incastrati"
all'interno di tutti quegli schemi e quelle regole che ci servono solo ed
esclusivamente per facilitarci a comprendere quell'infinità di cose che uno
strumento racchiude in sé. Lo studio della chitarra è un pò "pericoloso" sotto questo punto di vista e
a
volte ci lascia "ingabbiati" dentro tutte quelle geometrie che in realtà
dovevano solo servirci a memorizzare scale e accordi. Il punto chiave stà chiuso nel concetto che ogni cosa che suoniamo deve
essere musicale e non deve mai essere un semplice movimento delle mani,
altrimenti diventa ginnastica non più musica. E' motlo semplice da dirsi ma
un pò meno da farsi, in effetti dopo anni ed anni passati a memorizzare le
diteggiature delle scale visualizzandole su sezioni del manico di 4 o 5 (o
6) tasti può risultare difficoltoso pensare alla scala come un determinata
quantità di note che abbiamo a disposizione, purtroppo spesso ci capita di
pensare alle posizioni in cui dobbiamo mettere le dita e così corriamo il
rischio di "suonare" un pò troppo meccanicamente e di conseguenza perdiamo
di esprissività. Ricordo che George Garzone, grande sassofonista ed insegnante in importanti
scuole americane, ad un suo seminario, che ho seguito qualche tempo fa,
disse che il suo metodo di insegnamento consisteva nel far SUONARE i suoi
allievi fin dalle primissime lezioni in modo da poterli orientare verso la
libertà della loro espressione. Ovviamente siamo obbligati ad avvalerci di schemi e "box" ma mantenere
sempre viva la nostra personalità deve essere l'obiettivo principale.
Mi è successo a volte di riflettere su una questione che riguarda questo
discorso; mi sono chiesto: se penso ad un accordo, ad una scala...cosa mi
viene in mente??? Se mi viene in mente la posizione sul manico della
chitarra certo è un traguardo che ho raggiunto ma questa deve essere solo
una fase di passaggio, se sono un musicista devo avere dentro di me i suoni
e se penso ad un'accordo devo sentire dentro di me qual'è il suono che
produce e lo stesso vale per le scale. In fin dei conti siamo come dei pittori e come loro sanno immaginare e
vedere i colori noi dobbiamo sapere immaginare e sentire i suoni.
In questo periodo stò ascoltando con molta passione un maestro di tutti i
chitarristi (per lo meno quelli che amano il jazz) Wes Montgomery; è una
meraviglia sentire come suona, come la sua creatività e la sua fantasia lo
portino a non essere mai freddo, mai ripetitivo. L'equilibrio dei suoi
fraseggi dimostra la sua capacità di "cantare" il suo talento avvalendosi
della chitarra. Credo che a volte sia meglio chiudere i libri, cancellare
dalla mente ciò che sappiamo ed aprire le orecchie in modo da poter capire
quanto, questi musicisti maestosi, hanno da dirci e da insegnarci senza
dire un parola. Mi auguro che dalle nostre chitarre esca sempre più ciò che abbiamo nella
mente e nel cuore e sempre meno ciò che abbiamo solo nelle dita.