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Ry Cooder...
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di Ozkar [user #777] - pubblicato il 24 dicembre 2002 ore 01:21
Un episodio, forse emblematico, della mia curiosa vita di musicista appassionato può far da esordio a questo diario.Qualche sera fa, bloccato nel traffico di Natale, ascoltavo RadioRai, e un dj meno banale di altri passava un disco che mi ha colpito duro.Si trattava di una collaborazione tra Ry Cooder e un chitarrista blues africano. Non ricordo il nome di questo musicista, che cantava con un timbro chioccio alla Youssou N'Dour, nè ricordo particolarmente il suo fraseggio lineare e corretto.
Poi ha iniziato a suonare Cooder.
Ha iniziato ad accarezzare con lo slide una sola nota, una sola singola nota, la tonica. Non andava di fretta. Non la schiaffeggiava con quelle plettrate ripetute e sciocche che a volte usiamo noi sprovveduti. La persuadeva, piuttosto. La approcciava piano piano, da sopra, da sotto, vibrando docilmente. Mentre gli accordi variavano sotto le sue mani, lui era sempre lì, attorno a quel suo LA, come se veramente solo quella nota bastasse a dire tutto, fino alla fine del chorus.Allora ho capito che ciò che avevo cercato fino a quel momento non era un suono, ma erano i giorni e le sere di trent'anni di musica, e che forse non li avrei mai avuti, perchè comunque era quasi Natale, ed io ero nel traffico e non in Senegal, e che nel Senegal comunque se pure ci fossi stato non sarebbe stato per suonare, e anche se ci fossi stato con la chitarra non sarebbe contato nulla perchè sono nato a Roma, e non in America, e ho imparato la chitarra con Battisti e non con John Lee Hooker, e se pure fossi nato in America - ho pensato quella sera in macchina - figurati quanti sono nati in America, e hanno iniziato con John Lee Hooker, e Battisti non sanno neppure chi è, e anche così non sono nemmeno paragonabili a Ry Cooder e quindi non ci sono scuse che tengano, nè la pelle, nè l'anagrafe, nè il primo disco ascoltato nè il primo suonato, nè il Senegal con la sua Orchestra Baobab, nè niente.
Quella sera la mia chitarra è rimasta a guardarmi dal fodero.
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Un episodio, forse emblematico, della mia curiosa vita di musicista appassionato può far da esordio a questo diario. Qualche sera fa, bloccato nel traffico di Natale, ascoltavo RadioRai, e un dj meno banale di altri passava un disco che mi ha colpito duro. Si trattava di una collaborazione tra Ry Cooder e un chitarrista blues africano. Non ricordo il nome di questo musicista, che cantava con un timbro chioccio alla Youssou N'Dour, nè ricordo particolarmente il suo fraseggio lineare e corretto.
Poi ha iniziato a suonare Cooder.
Ha iniziato ad accarezzare con lo slide una sola nota, una sola singola nota, la tonica. Non andava di fretta. Non la schiaffeggiava con quelle plettrate ripetute e sciocche che a volte usiamo noi sprovveduti. La persuadeva, piuttosto. La approcciava piano piano, da sopra, da sotto, vibrando docilmente. Mentre gli accordi variavano sotto le sue mani, lui era sempre lì, attorno a quel suo LA, come se veramente solo quella nota bastasse a dire tutto, fino alla fine del chorus. Allora ho capito che ciò che avevo cercato fino a quel momento non era un suono, ma erano i giorni e le sere di trent'anni di musica, e che forse non li avrei mai avuti, perchè comunque era quasi Natale, ed io ero nel traffico e non in Senegal, e che nel Senegal comunque se pure ci fossi stato non sarebbe stato per suonare, e anche se ci fossi stato con la chitarra non sarebbe contato nulla perchè sono nato a Roma, e non in America, e ho imparato la chitarra con Battisti e non con John Lee Hooker, e se pure fossi nato in America - ho pensato quella sera in macchina - figurati quanti sono nati in America, e hanno iniziato con John Lee Hooker, e Battisti non sanno neppure chi è, e anche così non sono nemmeno paragonabili a Ry Cooder e quindi non ci sono scuse che tengano, nè la pelle, nè l'anagrafe, nè il primo disco ascoltato nè il primo suonato, nè il Senegal con la sua Orchestra Baobab, nè niente.
Quella sera la mia chitarra è rimasta a guardarmi dal fodero.
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