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INTRODUZIONE
Dopo la seconda parte dove sono stati introdotti i principi fondamentali sulle tensioni (continua ed alternata) e si è affermata la loro presenza contemporanea nei nostri amplificatori, passiamo all'osservazione più specifica delle leggi di Ohm e di Joule (fondamentali, vedi parte prima) e di alcuni dei componenti passivi più diffusi all'interno degli stessi: resistori e potenziometri. Tutte le immagini relative a questa pagina sono disponibili al link sopra.
LEGGE DI OHM
V=R x I dove V sta per Tensione (Volt V)
dove R sta per Resistenza (Ohm Ω)
dove I sta per Intensità di corrente (Ampère A)
quindi V=Ω x A
LEGGE DI JOULE
P=V x I dove P sta per Potenza (Watt W)
dove V sta per Tensione (Volt V)
dove I sta per Intensità di corrente (Ampère A)
quindi W=V x I
RESISTORI
I resistori (vedi parte prima) hanno un utilizzo che può variare in base al tipo di tensione al quale sono sottoposti:
-
nel caso di una tensione continua, si comporteranno come riduttori di tensione; (FIG. 1 A-B)
-
nel caso di una tensione alternata, si comporteranno come riduttori ed attenuatori in frequenza. (FIG. 2 A-B)
Nella pratica, il primo principio si sfrutta principalmente negli stadi di alimentazione per ridurre una data tensione ad una tensione minore: nei valvolari è noto che le valvole finali e le preamplificatrici lavorano con tensioni di alimentazione diverse tra loro, ma queste si ricavano comunque da un'unica sorgente che viene ridotta in base alle necessità per alimentare dalle grandi finali alle piccole preamplificatrice (ad ogni riduzione corrisponde uno stadio). Ovviamente la differenza tra tensione iniziale e tensione finale ai capi della resistenza non sparisce per magia, ma viene dissipata in calore (potenza W) e per questo è necessario anche determinare anche di quanti Watt (W) questa debba essere.
Come? Grazie alle Leggi di Ohm e di Joule. (FIG. 1 A)
(Fig. 1 B) ES: Supponiamo di avere una sorgente di tensione di circa 45V e capace di una corrente in Ampère (A) sufficiente all'intero circuito (è buona norma disporre di un amperaggio leggermente superiore alle necessità) e voler alimentare una sezione di circuito che necessita di 22V di tensione ed assorbe 10mA (0,01A): quale sarà il valore del resistore?
Da V=Ω x A ricaviamo Ω=V / A
Poiché il valore in Ohm è l'incognita e gli Ampères sono noti, bisogna calcolare di quanti Volts bisogna ridurre la tensione iniziale (Vi) per ottenere quella finale desiderata (Vf):
Vi – Vf = Vc (Tensione di caduta, parte da eliminare)
Quindi 45 – 22=23V
Individuata la tensione da ridurre (23V) per la Legge di Ohm sarà:
Ω=V / A quindi Ω=23 / 0,01 ovvero Ω=2300 (che di norma adatteremo al valore standard più vicino, ovvero 2200Ω).
Con la Legge di Joule determiniamo quanti Watt dissiperà questa resistenza:
W=V x I quindi W= Vc x A, risolvendo W= 23 x0,01 ovvero 0,23W
che arrotonderemo al valore standard di 0,25W (¼ di Watt).
La prudenza vuole che, data la possibile influenza termica di altre componenti circuitali, tale valore sia portato ad una valore almeno doppio o superiore, cioè ½ Watt o addirittura 1 Watt (così difficilmente brucerà!!!).
Per queste applicazioni si usano solitamente resistenze di “potenza” ovvero ceramiche, metal oxide ecc.
Cosa succede, invece, quando poniamo un resistore in serie ad una Tensione Alternata? (FIG. 2 A) Succede che oltre alle proprietà appena citate, si aggiunge una caratteristica ulteriore: l'attenuazione in Frequenza (Hertz Hz). Come descritto nella parte prima del mio diario, la tensione alternata ha sempre una Frequenza (si misura in Hertz) e questo, talvolta, è elemento di disturbo, come i 50Hz della Tensione Alternata di rete a 230V che diventano, complice lo stadio di alimentazione, 100Hz percepibili come ronzio in assenza di un corretto livellamento da parte dei condensatori elettrolitici (come descriverò in seguito). A parte il caso limite appena descritto, le frequenze in alternata sono l'anima dei nostri amplificatori:
il Segnale non è altro che questo, una tensione alternata.
Es: se vi fosse la necessità di attenuare il segnale in uscita da uno stadio di amplificazione per non saturare quello successivo (inducendo dalla distorsione alla completa interdizione) questo si potrebbe fare introducendo in serie un resistore (o utilizzare un potenziometro). In questo utilizzo diventa evidente la differenza tra le varie tipologie di resistori, capaci di colorare, restare trasparenti o sporcare il segnale in base alla loro struttura (impasto di carbone, film metallico o, se proprio non se ne può fare a meno, film di carbone). Nei valvolari il valore dei resistori usati a tale scopo è nell'ordine delle decine/centinaia di KΩ (1KΩ=1000Ω). Ovviamente la risposta in frequenza di un resistore in serie ad un segnale non sarà omogenea e la tendenza sarà quella di attenuare maggiormente le frequenze alte e per ovviare a questo inconveniente (FIG. 2 B) si può apporre in parallelo un condensatore di capacità adeguata (come sarà descritto tra breve).
PARTITORE RESISTIVO
Prima di introdurre i potenziometri, è necessario introdurre il concetto di partitore resistivo, dovendolo incontrare spesso sia negli stadi di alimentazione che sul percorso del segnale. Abbiamo già visto (Fig. 1 A-B) con quali criteri scegliere il valore giusto di un resistore per ridurre una tensione da un valore iniziale ad uno inferiore conoscendo l'assorbimento in corrente del circuito da alimentare: come fare per un circuito dove l'assorbimento non è noto o dove, a prescindere, c'è bisogno di un valore di tensione fisso aldilà dell'assorbimento? Proprio qui entra in gioco il partitore resistivo. Come visibile in Fig. 3 A-B, usando due soli resistori, è possibile determinare un valore di tensione inferiore a quella di partenza prelevandola nel punto di incontro comune dei due resistori che, collegati come in figura, stabiliranno un valore fisso di riduzione in funzione dei loro valori ohmici. In particolare, dalla Fig. 3 B, emerge subito che, con due resistori di identico valore, si otterrà esattamente metà della tensione iniziale: come si fa ad ottenere un valore diverso (sempre inferiore) rispetto alla tensione iniziale? Per farlo, è sufficiente usare una formula (vedi Fig. 3 C):
R2=R1:(Vi – Vf) x Vf
dove R2 è il resistore dal valore ignoto che va a massa; R1 è il resistore orizzontale di valore noto (prefissato dall'utilizzatore e da inserire in Ohm!!!);
Vi è la tensione iniziale a disposizione;
Vf è la tensione che si desidera ottenere.
Per l'esempio in Fig. 3 C sarà:
R2= 220000:(24-9) x 9
R2=132000,03 (arrotondato al secondo decimale)
ovvero R2 =132K
Tale valore, anche se non è standard, può essere ottenuto ponendo al posto di un singolo resistore una serie di due resistori di valori standard (120K + 12K=132K). Ecco le utili formule per il calcolo di serie e paralleli di due resistori (Fig. 4 B):
SERIE Ohm=R1 + R2
PARALLELO Ohm=(R1x R2) / (R1 + R2)
Cosa accade se il valore di R2 non è standard o richiede paralleli/serie indesiderati o, più semplicemente, si desidera poter variare la tensione di uscita? Accade che sarebbe comodo un potenziometro/trimmer da usare come in Fig. 3 D.
POTENZIOMETRI
Il potenziometro (vedi il simbolo in Fig. 3 D) altro non è che un resistore variabile che funziona da partitore ed il valore di partizione (quantità di segnale e/o tensione in uscita) sarà determinato dal cursore mobile (indicato come una freccia) in funzione della sua posizione rispetto al resistore fisso (disegnato come un comune resistore in Fig. 4 A). Il resistore fisso è compreso tra i piedini 1-3 del potenziometro, mentre il cursore mobile corrisponde al piedino numero 2. Di norma, almeno per la generalità dei casi, il piedino da collegare a massa è il numero 1, ma nulla vieta per necessità diverse di collegare a massa il 3: ovviamente, a parità di senso di rotazione, avrà un funzionamento al rovescio.
Logaritmico? Lineare? Reverse?
Aldilà del valore in Ohm, la geometria del resistore fisso di un potenziometro ne determina anche il funzionamento in progressione (lineare o logaritmica). Un pot lineare si comporterà secondo un rapporto direttamente proporzionale alla posizione del cursore sul resistore fisso, ovvero con il pot a metà corsa sarà inserito metà resistore, ad un quarto sarà un quarto del resistore e via dicendo. Un pot logaritmico si comporterà secondo un rapporto esponenziale quindi, ruotando in senso orario il cursore, l'azione sarà lentamente progressiva fino a circa la metà della sua corsa per diventare sempre più violenta oltre: ecco perché il pot di volume è più gestibile se logaritmico, avendo una gestione dolce fino a metà corsa, pari al 25-30% sul volume totale, per poi diventare sensibilmente più sensibile oltre metà corsa. Ragioni commerciali più che costruttive, spingono taluni costruttori ad adoperarlo invece lineare, dando una sensazione di maggiore potenza nella prima parte della corsa, ma per poi deludere chi, superato l'iniziale timore reverenziale, si spingesse oltre la metà per scoprire incrementi meno mostruosi di quello che il senso comune potrebbe suggerirci.
Un potenziometro può essere anche reverse, quindi avrà una geometria del resistore fisso invertita e la progressione sarà l'esatto opposto di quella del suo equivalente standard (si parla di logaritmica ovviamente). Mentre il potenziometro è pensato per la sua funzione in movimento e per la gestione continua da parte dell'utente, i trimmer svolgono la stessa funzione circuitale, ma sono pensati per le tarature interne e, a tale scopo, ne esistono diversi detti di precisione che sono multigiro (il pot comunemente considerato sul pannello di qualsiasi ampli è sempre a singolo giro) i quali permettono regolazioni fini in quanto meno sensibili a rotazioni piccole. Nel caso considerato in Fig. 3 D, avendo a che fare con tensioni di alimentazione, sarà preferibile usare un potenziometro lineare, magari da 250/500K, valori ohmici che garantiranno un escursione dolcissima ed accurata. I logaritmici sono invece indicati in presenza del segnale, quindi per volume e tonestack, salvo che per la gestione dei medi (ovviamente non è una regola fissa senza deroghe e per ragioni operative o sonore è possibile anche prediligere pot lineari). Quest'ultima considerazione è dovuta alla necessità di adeguare i livelli di segnale alla nostra percezione sonora che lavora in termini logaritmici e non lineari (magari la natura lo ha fatto per preservare i nostri timpani da violenti traumi!!! Che cosa ne pensi Jeb?). Infine, essendo comunque dei resistori, anche questi avranno oltre ad un valore ohmico una potenza di lavoro espressa in Watt da non trascurare se usati per gestire tensioni e/o correnti elevate.
IL TONO E L'INTERAZIONE CON LA STRUTTURA DI RESISTORI E POTENZIOMETRI.
Non basta sapere cosa sono e come funzionano i resistori ed i potenziometri per poter parlare delle loro sottili influenze sul “tono” (oltretutto sarebbe cosa prematura senza aver prima fatto lo stesso per condensatori e trasformatori) ma è giusto (fin da ora) spiegare di quali sfumature (sottili o evidenti) siano capaci.
I resistori ed i potenziometri non sono tutti uguali (ed è facile dimostrarlo sul campo realizzando un identico progetto con componentistica diversa, misurandone alla fine il ripple e valutando il diverso grado di silenziosità e la diversa trasparenza di alcuni componenti piuttosto che altri).
La prima considerazione utile a tale scopo riguarda il circuito di alimentazione: questo, che ci crediate o no, “risuona” in tutto l'ampli ed il fenomeno è misurabile all'oscilloscopio. La tensione di alimentazione non è mai perfettamente continua (salvo che non la si stabilizzi) e lineare, ma avrà sempre un residuo (evidente o trascurabile) di tensione alternata (il famigerato ripple) che il circuito di preampificazione non mancherà di mettere in evidenza nel caso l'alimentazione sia mal concepita. Al ripple ci pensano i condensatori elettrolitici, ma questo non è la sola fonte di rumore in un ampli. Infatti le resistenze di caduta che si usano per dividere l'alimentazione in vari stadi, così come le resistenze anodiche, sono più o meno rumorose a seconda del tipo usato e del loro valore in watt. Anche se elettronicamente il componente è ben dimensionato rispetto al circuito, ai fini del suono può essere necessario sovradimensionarlo per ragioni legate al rumore (avete mai sentito parlare di resistenze che “friggono”?): questo fenomeno è dovuto alla dissipazione in calore del resistore e, più ci si mantiene al limite dei Watt lavoro del resistore, più diventa evidente. I resistori, in base alla loro tipologia, possono essere più o meno trasparenti, rumorosi, instabili al variare della tensione: ovviamente una”colorazione” può piacere o essere indesiderata, ma è lì che si avverte la differenza tra una resistenza ad impasto di carbone, una film di carbone, una film metallico ed una metal oxide.
Una regola non c'è, c'è solo il tono che si insegue:
per un suono vintage le impasto di carbone possono essere insuperabili (con tutti i loro difetti) mentre per gli ampli moderni prevedo un futuro a film metallico di precisione.
Per concludere, gli stessi potenziometri possono creare o meno rumorosità ed è evidente la differenza tra un pot classico ed uno a plastica conduttiva o, a parità di potenziometro e per le stesse considerazioni legate alle resistenze, possono risentire anche dei diversi valori in watt (perché un potenziometro da 2 watt risulta più preciso e meno rumoroso?).
Ovviamente la “chimica” che produce un tono piuttosto che un altro non può essere relegato solo a queste considerazioni, ma fanno comunque parte di quell'insieme di particolari che messi insieme possono fare la differenza
Alla prossima.