Brutta come la morte e con arrangiamenti che sembrano presi da una scimmia urlatrice, la Elite Strat di inizio anni '80 si colloca in coda a questa mia classifica semplicemente perché, date le sue peculiarità, stimola tantissimo la mia curiosità e immagino un po' anche la curiosità di tutti coloro che amano le Stratocaster. Per la prima volta abbiamo dei pickup noiseless senza poli esposti, presa jack al lato del corpo, selettore a bottoni con attivazione individuale, un boost attivo +12dB, controllo dei toni attivo, truss rod a doppia azione e un ponte vibrato assurdo, marcato Fender, che certamente vuole fare il verso ai Kahler tanto amati negli anni '80. Una chitarra che sicuramente dovrebbe trovare un posticino nelle rastrelliere di ogni collezionista di Stratocaster che si rispetti. Anche perché dubito che queste chitarre raggiungano quotazioni particolarmente alte.
9 - Fender Standard Stratocaster 1983 Per quanto assurda anche questa, sicuramente lo è molto meno della precedente. Nell'impeto di un rinnovamento feroce, Fender decise di eliminare la presa jack tradizionale sul corpo e sostituire una delle manopoline con quest'ultimo lasciando solo un volume e un tono master. Tastiera piatta a 12", paletta dalla forma orribile ma finalmente piccola, micro tilt con placca quattro viti, pickup piuttosto potenti e un ponte pazzesco con caricamento delle corde da sopra che sembrava fabbricato da un ferramenta. Ne esistevano addirittura dei modelli color marmorizzato. Come sopra: si tratta di chitarre che per quanto risultarono un vero e proprio flop rappresentano, a mio avviso, delle parentesi molto curiose che non si può fare a meno di apprezzare almeno per le loro peculiarità. Di nuovo, le quotazioni non dovrebbero essere particolarmente alte.
8 - Fender Squier JV Series Stratocaster La serie JV ha un foltissimo pubblico di seguaci che assomiglia di più a una setta che a un gruppo di appassionati. Dietro alla JV c'è un alone di mistero come se chissà quali particolari caratteristiche magiche avessero queste chitarre per suonare così bene.
"JV" stava per "Japan Vintage". Erano chitarre fabbricate in Giappone, infatti, ed erano presenti come i modelli Vintage Stratocaster anche Telecaster, Jazz Bass e Precision. Montavano pickup americani, alcune erano verniciate alla nitrocellulosa e per quanto riguarda la Strat c'erano in sei varianti che si alternavano tra '57 e '62. In quanto liutaio non apprezzo particolarmente queste chitarre. In primis perché raggiungono quotazioni da record e, a quel prezzo, a mio personale avviso sarebbe sempre da preferire una buona americana ben scelta o addirittura e meglio ancora una chitarra di liuteria. Ma poi una chitarra che suona bene, sempre a mio avviso, oltre una certa soglia di prezzo, dovrebbe essere la normalità e non sorprendere come queste. Poi si tratta di chitarre che inizialmente non erano particolarmente costose e delle quali il prezzo è schizzato in alto, sempre secondo me, a causa di tutte le credenze popolari e le leggende metropolitane che negli anni ci si sono costruite dietro. Belle chitarre, per carità... però...
7 - 1971/1972 Fender Stratocaster La tipica Stratocaster anni '70 con palettone e truss rod a proiettile (infinitamente comodo). Nel '72 fu introdotto anche il secondo alberino abbassacorde. Questa è la Stratocaster con il famosissimo e discussissimo attacco del manico a tre viti, micro tilt e placca del manico a scudo. Qualcuno dice che quest'accorgimento provocava una instabilità dell'accordatura. Successivamente, sullo stesso modello, Fender adottò un ponte molto simile a quello delle attuali Squier Bullet. Una chitarra dalle dubbie qualità, seppur molto bella. Gradualmente nel tempo si inspessisce lo strato di vernice poliestere che Fender adottò più che altro per motivi economici.
5 - 1964/1965 Fender Stratocaster Curiosa chitarra che a cavallo del passaggio di Fender a CBS ha un misto di caratteristiche a cavallo tra CBS e pre-CBS. Possiamo riscontrare per esempio la presenza di un nuovo logo che appunto viene chiamato "transition", applicato (ed evidentemente mal conformato) a una paletta piccola tipica dell'era pre-CBS.
Come per i modelli precedenti è spesso presente il cosiddetto "ugly sunburst", una sfumatura che presenta un rosso molto marcato a cavallo di un giallo centrale particolarmente presente. Nonostante letteralmente "ugly sunburst" significhi "sunburst brutto", a me piace tantissimo perché nel mio immaginario rappresenta, insieme al battipenna in celluloide mint green (anche se tra il '64 e il '65 fu sostituito con quello di plastica bianca), l'abbinamento che ti fa identificare a colpo d'occhio le chitarre di questo periodo.
4 - 1966 Fender Stratocaster L'anno in cui comincia a delimitarsi la forma più professionale e "di fabbrica" della Stratocaster. Sparisce il battipenna mint e si cominciano a trovare i segnatasti a pallino madreperlati su tutte le chitarre. Viene introdotta la paletta CBS con logo misto "transition" che sta molto meglio sulla paletta grande. Ritorna la tastiera in acero come opzionale ma viene incollata come quella in palissandro senza skunk stripe, accorgimento piuttosto curioso e credo mai ripetuto (usanza andata avanti fino all'inizio degli anni '70). Chicca per i collezionisti: i primi esemplari, per un paio di mesi, avevano la pellicola della decal molto grande.
3 - 1962/1963 Fender Stratocaster L'icona della Stratocaster anni '60 con tastiera in palissandro a fondo curvo, battipenna in celluloide che "inverdiva" in pochi mesi appena tolta la plastica protettiva, lo stupendo "ugly sunburst" nella sua espressione più piacevole e caratteristica, la decal tipica di questi anni con la riga di "pat." sotto al logo e i primi condensatori ceramici sotto al battipenna.
2 - 1959/1960 Fender Stratocaster Si cominciano a vedere le prime Strat con tastiera in palissandro, i primi battipenna a tre strati e un primo timidissimo sunburst a tre toni che negli anni subito successivi diventerà gradualmente sempre più marcato fino a diventare feroce. Molto simile alle Stratocaster subito successive che si possono considerare figlie della Strat del '59.
Le differenze più interessanti stanno in alcuni componenti misti che provengono dai pieni anni '50 tipo il condensatore carta/olio e la tipica paletta con il logo a una riga inferiore. Ultima, ma ugualmente tipica e ricercata, la tastiera in palissandro a fondo dritto.
1 - 1956 Fender Stratocaster Nel '56 Fender cominciò a fare dei sunburst due toni con il nero molto spesso. È l'anno di transito dal frassino all'ontano. Visto che l'ontano non presenta quell'eccezionale e interessante venatura del frassino, decisero probabilmente di mascherare la cosa con una sfumatura sul nero molto più spessa e presente. Particolarissima ma piuttosto bruttina a mio avviso. Sembra quasi una Stratocaster barbuta. Molto lentamente si passava dall'abbassacorde tondo a quello rettangolare a farfallina.
1/bis - 1957 Fender Stratocaster Per lo più molto simile alla Stratocaster del 1956, con la differenza sostanziale di un Sunburst molto più carino che la sfumatura sui bordi, invece di essere totalmente nera, virava gradualmente nel marrone prima di diventare completamente nera. Nonostante restasse comunque una sfumatura abbastanza profonda, era sicuramente più graziosa. Lentamente apprezziamo il passaggio alle plastiche in ABS piuttosto che il vecchio Polystirene e si ha il passaggio definitivo all'abbassacorde a farfallina.
1/bisbis - 1968/69 Fender Stratocaster Per gli amanti del genere la Strat col palettone per eccellenza. La ultrafamosa "maple cap" con tastiera incollata sia in acero sia in palissandro e abbassacorda unico. Esibisce il suo infinito splendore nella sua tipica colorazione olympic white su tastiera in acero. Il logo transition si è evoluto nella sua forma più perfetta e in pieno periodo CBS abbiamo i famosi e tanto acclamati pickup "grey bobbin" e piastra del manico a quattro viti. Nonostante abbia dei contorni non pronunciati come le Stratocaster dei primi anni '50 sembra esile, slanciata ed elegante. Sicuramente una delle Strat più belle (e particolari) mai realizzate.
1/superbisbis - 1954/1955 Fender Stratocaster "La Stratocaster". Così come la concepì Leo Fender. Completamente diversa dalle successive. Unica e mai realizzata di nuovo uguale. Tra le più classiche e allo stesso tempo alternative della storia. Ho avuto modo di apprezzare quella gentilmente esposta da Alberto Venturini in occasione di SHG 2014 a Napoli. Pura magia. Innanzitutto si percepisce a occhio nudo che erano totalmente diverse da quelle attuali e quelle posteriori.
Il contour body era molto più accentuato, le plastiche erano tutte in polystirene, una resina che nel tempo rimane bianca ma si consuma evidentemente con lo sfregamento delle mani, il manico è molto doppio, quasi tozzo, e comunica tutta l'antichità e l'artigianalità di quella linea di produzione. Le prime cento avevano il numero di serie inciso sulla placca coprimolle posteriore e per entrambi gli anni i fori per l'inserimento delle corde erano tondi e non oblunghi come ora siamo abituati a immaginarli. Il ponte massiccio lascia sgorgare le corde che passano su dei pickup coperti da cover che spesso lasciano trasparire il nero delle bobine e arrivano fino a una paletta molto arrotondata passando sotto un abbassacorde a bottone. La sottilissima vernice alla nitrocellulosa, quando originale, è lucida a specchio in un colore sunburst a due toni molto spesso appena accennato e lascia trasparire un corpo in frassino dalle venature stupende. Le manopoline "tallboy", il cappuccetto del selettore "football" e la leva del Tremolo particolarmente curva comunicano tutta l'antichità di questi strumenti.
Insomma... una chitarra eccezionale, bellissima, con i colori tipici dell'epoca. Un sogno bello a colori come in bianco e nero.
Mi scuso di aver sforato il numero delle chitarre nella top ten, ma sono tutte infinitamente belle per qualche motivo. Lo confesso: sono patologicamente innamorato della Stratocaster e ne vado fiero! Voglio pubblicamente ringraziare Alberto Venturini per averci mostrato buona parte di questi capolavori in quella stupenda occasione che è stato SHG 2014 alla Mostra D'Oltremare a Napoli. Se fossi stato lì da spettatore, credo che non mi sarei mai mosso dalla sua sala in silenziosa, rispettosa e adorante ammirazione.
Mi scuso, inoltre, se eventualmente può essermi sfuggita qualche informazione non troppo precisa o sbagliata. Purtroppo non posso essere un collezionista e molto raramente capita di poter apprezzare strumenti di questo calibro per osservarli e studiarli da vicino, soprattutto in Italia. La maggior parte delle info che sono contenute in questo scritto provengono dai miei studi condotti per passione su internet e, si sa, non sempre le informazioni che si trovano sono precise e veritiere e non sempre sono coerenti tra loro.