Quando lo scopo è fare il punto della situazione odierna rapportando la scena musicale attuale con gli anni d'oro della produzione meridionale, dominati da nomi del calibro di Pino Daniele e James Senese, è fondamentale ascoltare il parere di un musicista che, quegli anni, li ha vissuti professionalmente. Per il convegno Il Sud Riaccende La Musica, Nico Di Battista ha condiviso la sua esperienza sul campo, nell'insegnamento, sui palchi e in studio di registrazione con musicisti che sono entrati nella storia e con altri che, invece, sono spariti nel nulla.Di seguito il suo intervento.
Io credo che il punto di vista di un musicista sia strettamente personale, cioè è legato al suo percorso di vita che ha fatto dall'inizio fino a oggi. È quindi sempre legato a una piccola nicchia, che magari poi si lega a un'altra nicchia, ma comunque cose estremamente singole, che difficilmente possono essere collegate a un discorso generalizzato. Quindi, in base a questa cosa, riflettendo anche su quello che è stato fino adesso soprattutto sulla musica classica, io ho notato delle piccolissime distorsioni sulla verità, se così le possiamo chiamare. Nel senso che oggi il conservatorio sforna dei compositori, ma nei teatri si continua a suonare la musica del '700, dell'800. Per carità, grandissimi compositori dell'epoca, ma lo sbocco delle decine, delle centinaia di giovani compositori che ogni anno escono dai conservatori qual è? Dove vanno a suonare, a esporre le proprie idee musicali? Non c'è possibilità e il problema va ricercato alla base.
Secondo me, avvicinarsi alla musica da bambini è fondamentale. È un percorso che fa sì che l'individuo finalmente si confronti con questa cosa che si chiama musica, una cosa che ti dà tanto al di là della carriera che avrai o meno, ma è collegata al tuo modo di vivere, di essere, di sentire le emozioni. Se ognuno di noi facesse un po' il musicista forse ci sarebbe una marcia in più, perché è una cosa che ti insegna a relazionarti con gli altri, ad avere un rapporto meraviglioso anche con persone diverse da te, persone che la vedono in maniera diversa. C'è poi il talento, un'altra cosa importantissima che in questa nazione non viene mai messa in evidenza. Non c'è possibilità di crescere, il talento rimane relegato a cosa? A nulla. Questo è un altro segno della decrescita del nostro Paese, perché se al talento non si dà la giusta visibilità automaticamente c'è qualcosa che non va, c'è un sistema inceppato da qualche parte.
Nella mia personale esperienza, dagli anni '80 a oggi, ne ho viste di tutti i colori e con grandissimi artisti. Ho avuto la possibilità di fare cose molto gratificanti con dei cantautori, ho visto passare decine di musicisti in studio di registrazione con dei progetti meravigliosi, bellissimi. Non ne è rimasto uno. Perché? Perché non c'è una strada che i musicisti possano percorrere e con la quale pensarla alla stessa maniera, creando una trade union tra tutti perché il discorso musicale decolli. È successo coi cantautori negli anni '70, è successo a Napoli con Pino Daniele e gli altri. Manca quel filone, manca quel punto di riferimento e ora bisogna ricominciare da capo. Ma a capo da cosa? Da niente! Ed è quello il problema: abbiamo fatto tanto per creare una vena che poi alla fine si è chiusa, è morta da sola. Per cui oggi continuiamo coi soliti problemi e con la solita vita da musicisti, con alti e bassi, problemi ma anche grandissime gioie sicuramente, che sono all'interno della musica.
Una delle mie esperienze più belle è stata quando a Londra, alla Royal Albert Hall, all'improvviso mi sono trovato di fianco un mio compagno d'avventura, Marco Zurzolo, che vive a Napoli! Queste sono quelle cose che la musica ti regala, esperienze che ti restano dentro. Il giorno dopo però sei a suonare in un locale con tre persone tra il pubblico che pensano ai fatti propri e gli dai quasi fastidio. La musica che non diventa cultura è il problema, il fatto che rimanga relegata a pochi interessati. Se facciamo sì che questo diventi cultura tutto migliora, perché si va a creare un punto di riferimento da seguire. È quello che abbiamo fatto tutti, quello che ho fatto io all'epoca seguendo i grandi chitarristi rock, jazz, flamenco… c'erano dei punti di riferimento enormi che ti davano la voglia di provare a fare delle cose. Oggi ci sono, ma il problema è la velocità con cui sono vissuti: la velocità non ti fa mettere a fuoco nulla, passa tutto in un attimo e rimane una frazione, un millesimo di ogni singola emozione, e quindi non vai da nessuna parte. Secondo me dovremmo rallentare e guardare quello che c'è. In Italia oggi c'è tantissimo e Napoli è una fucina di talenti, basta andare al bar sotto casa, com'è capitato a mio zio negli anni '50. Un certo Sergio Bruni, non so se lo conoscete… faceva il pizzaiolo… Dedicate dieci minuti del vostro tempo a questo. Andate su YouTube e cercate un'esibizione di Sergio Bruni in una vecchia edizione di Canzonissima. Provate a togliere l'audio e guardate solo la scena. È qualcosa di incredibile: senza ascoltare la musica, basta guardarlo per restare estasiati. Gli bastava muoversi, si riconosceva dall'eleganza dei gesti… quelle per i musicisti sono cose da imitare. Per chi vuole appoggiarsi a quel mondo, questo aspetto forse deve essere addirittura più importante del discorso musicale, perché in fin dei conti sono tutti bravi, ma l'artista lo vedi, devi saperlo riconoscere e valorizzare. Forse è questo che ci manca.
Nico Di Battista |