Steve Vai: la prima cosa che provo in una chitarra? La leva
di redazione [user #116] - pubblicato il 18 novembre 2016 ore 13:45
Quest'anno ad accogliervi all'ingresso di SHG vi aspetta un catalogo diverso: l'abbiamo farcito di interviste realizzate ad hoc a tanti nostri preziosi amici e colleghi, crema del chitarrismo nazionale. Ci sono tutti: da Luca Colombo a Cesareo, passando per Maurizio Solieri, Federico Poggipollini, Massimo Varini, Marco Sfogli, Isao Fujita e tantissimi altri.
E visto che le domande ci parevano proprio sfiziose, le abbiamo girate anche a Steve Vai, mentore supreo dei chitarristi rock. Steve, ancora una volta, è stato felice di offrire il suo contributo per Accordo.
Quand’è che ti sei innamorato della chitarra?
Avevo sei anni e stavo camminando nell’auditorium della mia scuola elementare. Lì c’era un ragazzo, avrà avuto 9 o 10 anni, che si stava esibendo suonando la chitarra. Ascoltandolo e guardandolo mi sono letteralmente infiammato! Di colpo, immediatamente, ero innamorato perso per quello strumento. Percepii da subito, che la chitarra mi avrebbe fornito un arma dalle infinite possibilità espressive. E poi da guardare, da ascoltare era così maledettamente affascinante.
Tre canzoni che un chitarrista non può non conoscere.
Ognuno dovrebbe averne tre, tra quelle che lui stesso ha scritto.
Quando imbracci una chitarra, qual è la prima cosa che testi e ti fa sentire che tra te e le può esserci del feeling?
La whammy bar!
Perché la chitarra elettrica è la regina del rock? E diciamolo – tanto siamo tra chitarristi – lo strumento migliore del mondo?
Perché è twang, perché e crunc! Ha un’espressività e insieme una complessità che ti incanta e affascina. E’ uno strumento che ti risuona nell'anima.
Con cosa brindi dopo uno show spettacolare?
Acqua, nient’altro.
Hai qualche nuovo progetto in ballo?
No, no. Sono nel mezzo del tour. Oltre a suonare di continuo ho tempo solo per la stampa, le interviste, la promozione…