Nella vita di un qualsiasi appassionato di chitarre arriva quasi sempre il momento in cui comincia a farsi largo quell’idea, quel desiderio mai neanche tanto nascosto di avere uno strumento che sia tuo e soltanto tuo, uno strumento che rispecchi quello che è il tuo stato d’animo, la tua passione, le tue convinzioni e soprattutto che sia capace di donarti serenità: perché, almeno io, da uno strumento questo ho sempre voluto e ricercato. Da quasi un annetto, quindi, ragionavo sulla possibilità di progettare e realizzare un’acustica su misura per me ma, complici il pochissimo spazio in casa, il poco o quasi nullo tempo a disposizione e altri mille rallentamenti che fanno parte della vita di tutti, non sono mai riuscito a metter mano al progetto.
Poi, spinto da eventi improvvisi, decisi di dedicarmi finalmente a questa idea.
Doveva essere interamente in mogano, con tastiera e ponte in ebano, forma OM, corde .011, senza alcuna concessione all’estetica, e con finitura a pori aperti in maniera da lasciar vibrare il legno a piacimento e donare un’estetica particolare allo strumento. Dopo qualche discussione con uno dei miei migliori amici, casualmente anche uno dei più bravi liutai che abbia mai conosciuto, ho deciso anche per le questioni più propriamente tecniche: lo strumento sarebbe stato naturalmente privo di qualsiasi preamplificazione e avrebbe dovuto avere grande volume... e avrebbe dovuto suonare come i grandi strumenti acustici pre-war.
Mi sono affidato ciecamente alla sua sapienza e cominciamo congiuntamente a lavorarci su: siamo partiti (cioè, lui è partito!) dal mogano da cui tutto sarebbe nato, e cioè da una bellissima tavola stagionata di sette anni circa, che risuonava già come un tamburo. Questo primo contatto fu particolarmente emozionante, perché vedere un pezzo di legno e immaginare che da lì sarebbe poi venuto fuori il tuo strumento... è qualcosa di incredibile!
Non potendo seguire di persona le varie fasi della lavorazione, venivo costantemente aggiornato con foto, video e lunghe chiacchierate nel corso delle quali risolsi l’ultimo dubbio che avevo: la paletta sarebbe stata slotted (naturalmente, dirà qualcuno!). Non appena ho potuto, ho seguito di persona lo stato dei lavori, e ogni volta restavo sorpreso di come e quanto suonasse quel legno. "Vedi che chitarra che verrà fuori, avrà un suono bellissimo!" mi ripeteva di continuo il mio amico: il fatto che chiudessimo le nostre serate esaurendo due o tre bottiglie di vino rigorosamente rosso ha contribuito a far durare l'allegria che mi portavo a casa ogni volta.
È stato poi il momento della tastiera e del ponte, come già accennato in ebano, poi delle meccaniche (arrivate probabilmente a piedi, visto che c’è voluto un mese e mezzo per averle) e poi degli ultimi ritocchi. In fase conclusiva, ho poi deciso quella che sarebbe stata l’unica concessione estetica: la scritta "Mojo" sul retro della paletta. Il mojo è l’amuleto dei neri d'America, il ricordo magico degli antenati d’Africa, ma soprattutto è lo spirito del blues: perché, se non s’è capito, questa è una chitarra che è nata per il blues...
Mi potreste chiedere: "perché mettere il fregio sul retro della paletta?". Forse è perché l’ho immaginato come un tatuaggio: se puoi vederlo ogni minuto, finisci per stancartene, finisce per non esser più una particolarità ma un qualcosa di comune. Forse, semplicemente, è un qualcosa che voglio poter vedere solo io, qualcosa da tenere sott’occhio. L'importante è che stia lì e che lo sappia io.
Infine, dopo qualche mese di lavoro e molto sudore del mio amico, una domenica mattina di fine luglio faccio una corsa a casa sua (non vi svelerò il nome, a meno che non sia lui ad autorizzarmi), subisco l’attacco combinato dei suoi bellissimi bambini e finalmente la vedo: bellissima, grezza, con la tastiera lucida e solo in attesa di esser suonata. Com’è difficile spiegare, far capire e trasmettere le emozioni: Mojo è come la volevo, come la sognavo, suona esattamente come avevo in mente, come avrei voluto che suonasse, e anche la sensazione al tatto è quella che desideravo avesse. La sera stessa ho registrato al volo con il mio cellulare un breve clip audio per cercare di far capire come suonasse, e credetemi, suona ancora meglio!
Mojo è una chitarra che non ha nulla da invidiare, assolutamente nulla, agli strumenti blasonati che propone il mercato (e credetemi, ne vedo tanti): bilanciata, intonata alla perfezione, già incredibilmente risonante, ha un riverbero naturale spaventoso e il suono che avevo esattamente in mente. C’è voluto tempo, tutta l’arte di un liutaio di nome e di fatto, qualche chilo di mozzarella, diverse pizze, molte salsicce, un sacco di pasta e risate ubriache, diversi litri di vino, qualche telefonata anonima a ignari amici verso mezzanote e mille parole, mille speranze, mille risate, e il conforto di un’amicizia in un momento un po’ particolare.
Ma, soprattutto, Mojo mi ha fatto ritrovare la voglia di tornare a casa ogni sera dopo una giornata passata fra le chitarre con il desiderio di imbracciarla e di suonare qualche nota di Muddy Waters: da oggi, è il mio amuleto. |