di Maurizio Piccoli [user #26523] - pubblicato il 08 agosto 2012 ore 10:00
Prima di entrare nel bituminoso argomento della composizione cantautorale, faccio qualche breve premessa. Si racconta che probabilmente fu il rumore provocato dalla corda dell’arco allo scoccar della freccia a innescare l’interesse dell’uomo per le vibrazioni sonore e le loro fonti.
Prima di entrare nel bituminoso argomento della composizione cantautorale, faccio qualche breve premessa. Si racconta che probabilmente fu il rumore provocato dalla corda dell’arco allo scoccar della freccia a innescare l’interesse dell’uomo per le vibrazioni sonore e le loro fonti. E il canto, indispensabile mezzo di espressione del cantautore (vi darò nel prossimo incontro le ragioni per quel “canta-untore”) da dove prese origine? Risposte credibili ce ne sono molte ma tutte sono ipotesi. Oltre a sposare la teoria che lo vuole imitazione del canto d’uccello, essendo convinto che il cantare sia incontrare la fugace bellezza del piacere, almeno nei momenti più intensi, mi sento di azzardare l’idea che il canto sia nato nel momento del climax, nell’acme di un godurioso rapporto sessuale. Certo questo ipotetico qualcuno deve aver avuto nel repertorio dei grugniti giornalieri un Aaaahhhh altamente liberatorio, ripetitivo e melodicamente variato. E se, invece, fosse stata una donna la prima a “cantare” il suo picco d’amore? Personalmente sarei ben lieto se fosse stata Eva a modulare in altezze diverse i suoi ahhh e uhhh e quant’altro le soffiava da dentro quella specie di morte santa che è il godimento estremo. Chiusa questa storiella dell’origine parossistica del canto, riapro il mio libro di vita con una amara confessione di verità: ho insegnato e insegno canto in maniera quasi tradizionale ma sono convinto non serva a nulla tranne per il fatto che invitare, spronare a cantare sia buona cosa e che quell’aria che esce dalla bocca porti con sé molto materiale interiore. E’ mia convinzione che cantare sia, dunque, un’azione terapeutica che si fa nei confronti di se stessi, un massaggio dolce o cattivo, una rilettura di tutto il chiaro e il buio che si è. Per queste ragioni non strapazzo per niente chi evidenzia piccole stonacchiature, anche ricorrenti. Non mortifico chi possiede un’estensione scarsa. Certo aiuto il primo a ottenere una maggiore precisione; il secondo a dilatare alle estremità le sue possibilità “naturali” ma soprattutto metto in funzione il mental detector per cercare di capire quantità e qualità del loro tesoro interiore. La mia passione è quella di cercare di scongelare il loro Cocito (ricordate qualcosa di Dante?) e di progettare una adeguata via d’uscita tracheale al loro sentire più profondo. Se poi questo sgorgare vorrà prender anche forma di costruzione musicale, muovere cioè i primi passi nella composizione del nucleo primitivo di una canzone, ben venga! E Ben venga due volte se continuando il percorso la creatività dell’allievo si estrinsecherà nell’aria, vale a dire in tentativi di improvvisazione vocale. In quest’ultimo caso, malgrado la somma difficoltà della trasmissione di una abilità che mi riconosco, cerco di regalare una bussola armonica per orientare i suoi tentativi. Impresa ardua ma possibile, anche senza utilizzare le vie utilizzate nell’insegnamento tradizionale.