I fuzz sono animali complicati. Per essere degli effetti che - secondo alcuni - stravolgono e ammazzano la dinamica e le nuance di una chitarra imponendole una distorsione compressa e uniforme come poche, sono incredibilmente sensibili alla strumentazione a cui vengono associati.
, i buffer non gli vanno a genio e sono capaci di mutare profondamente il proprio carattere a seconda del tipo di amplificatore a cui sono dati in pasto.
Qualunque pedale di gain reagisce in modo diverso con amplificatori di stampo british o americano, e le motivazioni che rendono un modello più propenso a "digerire" gli effetti . Quando ai piedi ci si mette un fuzz, però, la situazione si estremizza fino a far amare oppure odiare lo stompbox in base alla condizione in cui ci si è trovati a suonarlo.
La tradizione del rock anni '60 ha insegnato a usare i vecchi fuzz, semplici e senza neanche un controllo di tono che consentisse un minimo di gestione della pasta sonora, dritti dentro degli amplificatori di stampo britannico, magari Vox o Marshall, e magari già tirati a cannone, con un briciolo di saturazione nel suono di base. Non mancano, però, illustri esempi di fuzz associati ad amplificatori della scuola californiana, più brillanti e poveri nelle frequenze medie.
Il risultato può piacere in entrambi i casi ma, se non si sa bene ciò a cui si va incontro, l'impatto può essere traumatico.
Quando si attiva una distorsione, nel caso specifico un fuzz, il contenuto armonico del proprio suono si modifica in modo evidente. La prima conseguenza di un segnale saturo è l'aumento delle armoniche superiori, frequenze acute che rendono il suono frizzante e che crescono in maniera direttamente proporzionale agli acuti già presenti nel suono clean di partenza. Molti fuzz di estrazione vintage, d'altro canto, hanno la tendenza a rendere i bassi ingombranti, grossi, talvolta ingolfati, e anche questa caratteristica si somma ovviamente al sapore del suono pulito.
Se questo arriva da un amplificatore stile Marshall plexi, con medie evidenti e acuti più smussati, con quel tono quasi "telefonico", il fuzz provoca un'apertura sugli alti sufficiente a rendere il suono più aperto ma senza esagerare, e i bassi si arricchiscono in una maniera naturale che dà né più né meno l'idea di un amplificatore spinto ai suoi limiti di sopportazione.
Se invece il punto di partenza è un amplificatore in stile Fender, con un bel suono bright povero di medi, con bassi rotondi e acuti brillanti, il caratteristico low-end e le armoniche del fuzz sono proprio ciò che serve per generare una violenta equalizzazione a V. Il tono è più moderno e in certi casi può ricordare anche un distorsore in piena regola, ma quelle "campanelle" che tanto ci piacevano sul pulito qui rischiano di trasformarsi in zanzare, perché le armoniche hanno arricchito in modo considerevole una gamma acutissima dello spettro.
Come si può notare dal video, due suoni clean diversi per impronta ma all'apparenza entrambi bilanciati sfociano in sonorità diametralmente opposte, quasi irriconoscibili, quando il fuzz è attivo. E qui entra in gioco una considerazione: se usiamo un amplificatore dal taglio americano e non vogliamo rinunciare al nostro twang senza però rischiare di ottenere un suono svuotato di medi e troppo frizzante, ci farebbe comodo qualcosa che ne avvicini la risposta a quella di un amplificatore british, da usare solo quando vogliamo attivare il fuzz, qui un clone Tone Bender costruito da Formula B, il Mini Bender Pro II .
La soluzione più scontata sarebbe associargli un equalizzatore che scurisca il segnale e rimpolpi i medi per ricordare un suono più british. Però l'impressione è che manchi ancora qualcosa.
Si diceva che, negli anni '60, il territorio preferito dai fuzz era un amplificatore britannico, sì, ma già ben spinto per toccare quella punta di saturazione di cui erano capaci gli stack dell'epoca.
La necessità, quindi, è avere qualcosa che saturi un po', non troppo, che arrotondi gli acuti quel tanto che basta e dia una buona spinta sui medi. In pratica, la descrizione di un Tube Screamer.
Noi abbiamo usato un , che dall'overdrive verde prende in prestito buona parte del carattere, e abbiamo provato a simulare la reazione di un fuzz spinto a dovere dentro un amplificatore che in qualche modo restituisca una risposta vicina alla tradizione britannica, ma senza rinunciare al clean americano.
Il risultato non è impeccabile, ma offre senz'altro alcuni spunti su cui riflettere e lavorare.
Abbiamo completato l'esperimento suonando anche il fuzz dritto dentro un ampli stile british ben saturo, giusto per avere un'idea di cosa accada al suono con la "real thing". Ma, come si suol dire, questa è un'altra storia. |