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Leon Ravasi
utente #4 - registrato il 11/02/2002
Pseudonimo dietro il quale si cela un grande esperto (e appassionato) di musica, propone i suoi gustosi commenti sulla musica italiana. Della frequenza dice, parafrasando Guccini: "io scrivo quando posso e come posso, quando ne ho voglia senza applausi o fischi..."
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Attività

Eugenio Finardi ascende al cielo
di Leon Ravasi | 09 gennaio 2004 ore 23:24
Eugenio Finardi è una persona che ha del coraggio. Abbandonato ormai da un po’ di tempo il coté del cantautore (l’ultimo disco suo è “Accadueo” del 1998, Eugenio si ricicla come cantante di valore, ogni tanto in grado di piazzare ancora la “zampata” autorale, nel 2001 con “Fado” assieme a Marco Poeta e oggi con “Lo spirito e il silenzio”. Che non è un disco facile. E nemmeno interamente riuscito. Ma è un lavoro con una forza interna e con alcuni episodi di grande spessore. Come si era già confermato con “Verranno a chiederti del nostro amore”, Finardi è un ottimo esecutore di Fabrizio De André. Perché non cerca di rifarlo tale e quale, compito impossibile, ma ne rende una versione personale. E il miracolo si compie anche questa volta con “Il ritorno di Giuseppe” che (detto da un deandreiano come me suona quasi a bestemmia) è quasi meglio dell’originale. Di grande livello anche la cover di Battiato: “Oceano di silenzio”.
De Gregori, un “Mix” di bufale e mozzarelle
di Leon Ravasi | 27 novembre 2003 ore 10:11
Tutto sommato non si può dire che Francesco De Gregori sia “avaro” di uscite discografiche. Avaro di parole forse, avaro di inediti magari anche, ma in quanto a fare dischi non gli sta dietro nessuno! Se non ho sbagliato i conti siamo alla 27esima uscita discografica di Francesco in 30 anni di carriera, così divise: 16 dischi della discografia ufficiale, 9 dischi dal vivo (di cui 3 doppi) e 2 raccolte (e mezza). Troppa grazia san Francesco! Ora ti puoi anche riposare. Forse, a pensarci bene, potevi riposarti anche prima di dare alla stampa questo insulso Mix. Cosa aggiunge? A chi serve? Abbiamo davvero bisogno di sentirti cantare “A chi?” E se anche ne avessimo proprio bisogno (mamma mia come saremmo ridotti male!) abbiamo bisogno di ascoltarla inscatolata in mezzo all’altra paccottiglia con cui l’hai infiorata? Come? C’è anche un inedito tradotto da Dylan? E c’è pure il pezzo che hai scritto per Ron? Ma allora questa produzione sparsa non potrebbe trovare collocazione in un disco tutto suo? Pensaci: abbiamo “La topolino amaranto”, “Anche per te”, “Addio Lugano bella”, “Napul è”, “Via della povertà”, “Anidride Solforosa”, “”Sudamerica” che, stando al bellissimo libro di Deregibus su di te hai fatto in varie occasioni in concerto. Pensa che magnifico lavoro: le cover del Deg!
Ho il Malmediterraneo, mi curo con Cantodiscanto
di Leon Ravasi | 27 ottobre 2003 ore 23:08
E’ bello ritrovare degli amici. Anche quando non li si conosce. Ma si pensa di potersi fidare di loro. Perché sai che non ti tradiranno, neanche dopo tempo. I Cantodiscanto sono “amici” in questo senso. Mai né visti né conosciuti, ma l’apparire di un loro disco nuovo è una gioia. Si acquista sicuri, si mette sul lettore e si parte in viaggio con loro sull’ampia area del Mediterraneo. Distese e di distese di mare e terre tutte intorno dove potere approdare e scambiare frutti, acqua, vini, sete e spezie, ma soprattutto musiche. "Malmediterraneo" è, oltre che uno splendido titolo, tutto questo.
Morblus Band, e Bubola produce bene
di Leon Ravasi | 16 ottobre 2003 ore 10:46
Un solido disco di blues. Blues italiano, cantato col cuore, suonato come si deve e al servizio di testi d’autore. Cosa si può volere di più? In effetti il disco scorre amabilmente, senza incespicare, tra brani tirati e altri più morbidi in pieno stile cantautorale. Dietro a tutto sta la produzione e la capacità di scrittura di Massimo Bubola che si è occupato anche del mixaggio, di scrivere tutti i testi e parte delle musiche. Se poi aggiungiamo che chitarra e voci sono nelle sicure mani e nell’ugola espressiva di Roberto Morbioli e che piano, basso e batteria non smarriscono mai il treno, abbiamo tra le mani un ottimo disco di blues italiano. Con una piccola gemma: “Sotto un cielo così”.
Comprate questo disco, non comprate questo disco
di Leon Ravasi | 03 ottobre 2003 ore 23:38
Trovate ci sia una contraddizione nel titolo? Nel titolo del disco di sicuro. Chiamare "danni collaterali" le stragi è ben più che un eufemismo. E’ un falso storico. E allora ben vengano dischi come questi, ripieni di empito civico, di voglia di cantare per contare, di voglia di giusta ribellione, di petti che fermano baionette ... Ecco, qui mi fermo. E vale la seconda parte del titolo. Petti? Baionette? Ma come scrivi? "Chi scrive male vive male e pensa male" direbbe Moretti. Quindi gli autori di "Danni collaterali" pensano male? No,pensano benissimo. Pensano che si possa "battersi fattivamente per la pace" e che ci sia gente, come Gino Strada, che lo fa tutti i giorni. E così abbiamo Teresa De Sio e gli Yo Yo Mundi, Ricky Gianco e Gianfranco Manfredi, Eugenio Finardi e Gino Paoli, Lella Costa, Claudio Lolli e gli Skiantos. Un lusso. Comprate questo disco!
Claudio Lolli, solo parole, solo poesia
di Leon Ravasi | 07 settembre 2003 ore 23:25
C'è un disco bellissimo e clandestino che gira (poco, sennò che clandestino sarebbe?) per l'Italia. È bellissimo, ma non lo sa quasi nessuno. Non è un disco facile. Dentro questo disco un uomo parla, racconta, sproloquia a volte, di sicuro fa poesia e l'altro suona, suona una chitarra trattata ("Ma trattata molto bene" come dice l'omino in nero che parla) e fa cadere cristalli di note sulla poesia dell'Omino. Che una volta cantava, ma ora non canta più. Parla nei dischi, forse perché ha figli da mantenere, di sicuro perché ha cose da dire.
I "Racconti brevi" ma tenui di Pippo Pollina
di Leon Ravasi | 06 settembre 2003 ore 23:34
Pippo Pollina non è mai riuscito a convincermi fino in fondo. Soprattutto su disco. Qualcosa nelle sue canzoni mi ha sempre fatto l’effetto di forzato, di sopra le righe, del tentativo estremo di voler piacere, di voler fare qualcosa che potesse donargli anche in casa il successo che gli ha arriso in Svizzera, soprattutto e in Germania. Dalla natia Svizzera e da un lontano debutto con gli Agricantus, Pippo si era trovato emigrante con la chitarra e, come tale, contornato da successo e considerazione in Svizzera. Ma valicare le Alpi resta difficile. E sì che dal vivo, con la sola chitarra, lo show di Pippo non è niente affatto male! Ora arriva questo nuovo disco. E un po’ siamo alle solite. Niente affatto brutti, ma non completamente convincenti questi “Racconti brevi”. Se Pippo si liberasse dall’ansia di dover per forza scrivere “un capolavoro”, dandosi all’onesto artigianato, forse ne avremmo tutti giovamento.
Due perle di Maieron con la Sedon Selvadie
di Leon Ravasi | 01 agosto 2003 ore 18:49
Alzi la mano chi non ha pensato almeno una volta “la musica celto-folk ci ha sfracanato gli zebedei!” So quindi di rischiare di essere preso a morsi parlando di un disco che in alcuni momenti assomma tutti i lati negativi di questo tipo di musica. Epigoni dei Chieftains e Chieftains stessi, per intenderci. Ma il disco della Sedon Salvadie conserva comunque una somma di validità tali per cui si può passare sopra il fastidio di alcune gighe troppo insistite. Il progetto è sponsorizzato (e prodotto) da Massimo Bubola che di suo ci mette il titolo (“Il cil da l’Irlande”, vi ricorda niente?), il proprio violinista (Michele Gazich), la propria voce e quella burbera e gentile di Luigi Maieron. Ne esce fuori un connubio tra musica d’autore e musica dì impianto strettamente folk con alcuni momenti emozionanti.
Il Disoriente di Isa, smarrite la stella polare
di Leon Ravasi | 31 luglio 2003 ore 11:25
Bisognerebbe farne un’oasi protetta. Come per i panda. La cantautrici, queste sconosciute. Così poche che quando ne emerge una sembra di essere davanti alla scoperta del secolo. Se oltre oceano abbiamo Lucinda Williams, Natalie Merchant, Ani Di Franco, Mary Gauthier e su su fino a Suzanne Vega e Joni Mitchell, il panorama italiano ha sempre offerto molto poco: Carmen Consoli, Gianna Nannini, pochissimo altro. Scrive qualcosa Lalli e, ma in francese, ha esordito quest’anno Carla Bruni. Adesso arriva Isa (al secolo Zoppi) e gliene siamo subito immensamente grati. “Disoriente” è un disco disomogeneo e difficoltoso. Perciò tanto più bello. E’ bello perché ci mette a parte di una realtà in cui ci piace riconoscerci: uno specchio rovesciato attraverso il quale guardare noi stessi negli occhi di un’altra. Isa forse preferirebbe la si considerasse “artista” e basta, parola anfibia per definizione, ma è proprio dal suo essere donna che emerge il valore delle parole di “Disoriente”.
Sporco mondo, musica pulita
di Leon Ravasi | 30 luglio 2003 ore 15:25
Il problema di Marco Ongaro è che ha troppa facilità a scrivere. L'altro problema ereditato dal primo ' che scrive 'su commissione'. Nel senso che a lui piace, perché così trova la disciplina che altrimenti gli mancherebbe e anche la sfida da superare. L'altro problema ancora è che, mediamente, Ongaro supera queste prove. Cosa succede allora? Che Marco butta lì miniere di idee, di spunti sonori e poetici e quando gli sembra che basti (o il committente è contento) si ferma. Così i dischi di Marco Ongaro hanno il doppio effetto di irritarmi ed entusiasmarmi. Altra caratteristica del cantautore veronese è la passione per giocare dietro le quinte: scrivere per altri e rifugiarsi in cabina di regia: in questo caso il ruolo di proscenio viene lasciato a Grazia de Marchi e ai Calicanto. Il risultato è come le montagne russe, ma alla fine il disco è bello. Proprio bello. E nobile il tema: l'acqua. Acquistiamolo ma con una petizione per i committenti che li costringa a fare lavorare di più Marco Ongaro!
Baustelle e il disco a metà
di Leon Ravasi | 24 luglio 2003 ore 12:36
Ecco un disco che mi mette in imbarazzo. In bilico tra rigetto ed entusiasmo, non riesco a capire se la mia parte razionale si esalta e se quella emozionale latita o se succede esattamente il contrario. L’ipotesi più realistica è che vi sia un intreccio abbastanza ben riuscito e che nel frattempo, mentre cerco di rendermi conto di perché e cosa mi piaccia, il disco macina i chilometri sul mio lettore, fino al punto che quando si ferma mi trovo a canticchiarne le canzonette. Eh sì, almeno su questo non ci sono dubbi: trattasi di canzonette! Ma non è un termine riduttivo. I Baustelle (“lavori in corso” in tedesco) quello si propongono. Restaurare quell’epoca felice in cui ascoltavamo Umberto Bindi, Francoise Hardy, Mina, Celentano e Battisti, ibridandola coi suoni dei “tristi” anni ’80. Operazione felicemente riuscita. Dove sta il crinale del dubbio? Dove passa lo spartiacque tra il piacere epidermico e la gioia consapevole della fruizione? Menate? Può darsi. Ma un po’ dispiace ascoltare un disco molto piacevole che spara cazzate di storie.
Giorgio Conte, dai Contestorie contami una storia
di Leon Ravasi | 23 luglio 2003 ore 01:24
Giorgio Conte si diverte. E noi con lui. Un po’ meno se guardiamo il costo (22 euro), un po’ di più se consideriamo che il libretto allegato è un spasso. Sedici racconti, cinque poesie e i testi del Cd, un cd assolutamente avaro se contiamo il minutaggio (appena sopra la mezzora roba che neanche in vinile!) e contemporaneamente prodigo se valutiamo il piacere. E allora pensiamo al piacere, che in fin dei conti è estate: stagione di evasione e disimpegno. Guardate cosa combina la Lega con Sofri … Ecco, Giorgio Conte è la colonna sonora ideale per non pensare a queste miserie.
Il
di Leon Ravasi | 03 luglio 2003 ore 12:03
Prendete il disco nuovo dei SULUTUMANa (compratelo, suvvia! Ne vale la pena) e mettetelo nella paglia. Lasciatelo lì qualche settimana. Ah, mi raccomando: togliete subito il cellophane e aprite la copertina per farlo respirare. Dopo di che, se volete, potete anche ascoltarlo... così... una o due volte, ma senza impegno. Indi riponetelo nella paglia e lasciatecelo. Diciamo per... due settimane. A questo punto andate a prendere il curioso oggettino quadrato di plastica e, già al primo sguardo lo vedrete meglio: la copertina dai colori più vivi, qualche germoglio qua e là, un accenno di radici. Il cd è pronto per il trapianto. Aprite il lettore e sistematevi non la copertina quadrata, ma il nocciolo, quello stupido dischetto traslucido con un inutile buco in mezzo. Ecco: vi metterà radici nel lettore e nel cuore!
Lalli e Marco Berruti, malinconie gentili
di Leon Ravasi | 10 giugno 2003 ore 19:21
Due dischi molto belli. Non due capolavori, ma il capolavoro non lo si trova a comando. Lo si deve sentire dentro. È un clic che scatta oppure no. Qui non scatta, ma scattano molte levette: di intelligenza, di piacevolezza, di bravura e ancora quel misto di consolazione e malinconia al pensiero di quanta poca gente conosce e apprezza Marco Berruti e Lalli. Miele e aceto. Da un lato è bella questa sensazione che sia un affetto esclusivo, qualcosa di nostro, dall'altro lato c'è il senso dello spreco. Come quando la trattoria sotto casa diventa di moda. Lalli e Marco Berruti non rischiano di diventare famosi in fretta. Fanno dischi troppo belli. E senza concessioni.
Giovanna Marini non fa il bis di
di Leon Ravasi | 25 maggio 2003 ore 23:53
Non è "Senti il fischio del vapore n.2". È "Buongiorno e buonasera" ed è un disco di Giovanna Marini a tutti gli effetti. I musicisti sono gli stessi del disco precedente, la produzione anche, ma non c'è più Francesco De Gregori, non c'è più la sua voce. E non è una mancanza da poco. Io sarò rozzo e ineducato all'ascolto della musica "quasi colta", della musica che "contamina aspetti popolari con le grammatiche altre della tradizione orale", come scrive dottamente Alessandro Portelli nella presentazione, ma il disco non mi è piaciuto. E non mi è piaciuto soprattutto (Portelli dixit) "quando inventa l'incalzante parlare ritmico da cantastorie urbana che anticipa e supera il rap".
Ho rivisto degli zingari ancora più felici
di Leon Ravasi | 13 maggio 2003 ore 11:52
L'ho sentito la prima volta. Non mi è piaciuto. Salvavo solo 'Gli zingari (Intro)'. Pollice verso per 'Agosto' e 'Primo maggio', ma soprattutto per 'Anna di Francia'. Poi l'ho risentito, distrattamente, mangiando. Già meglio. Ma non mi è bastato. L'ho rimesso ancora. E iniziava a scorrere meglio, con qualche sacca di resistenza. Poi non ce l'ho fatta più e ho messo su il vecchio vinile traslato in cd. E capolavoro e magia e disco da isola deserta e pietra miliare e commozione e nostalgia e tutto quello di bello che ci può essere ascoltando un disco epocale, un disco con pochi, pochissimi eguali: 'Creuza de ma' , 'Non al denaro, non all'amore né al cielo', 'La pecora' di De Gregori, 'L'isola non trovata', 'Storie d'Italia'. Ma, masochista fino in fondo, ha riportato il lettore sulla nuova versione. Ho alzato il volume e mi sono messo in ascolto per l'ennesima volta. Il disco c'è. E' una scossa tellurica, è un'abrasione, è uno strappo. Ma è soprattutto un grande disco!
Luigi Grechi, è solo country, ma che vuoi di più?
di Leon Ravasi | 06 maggio 2003 ore 08:24
Un solido, sano disco di country. Potrebbe essere stato registrato a Nashville e invece viene da vicino Perugia, zona di scorribande dei fratelli De Gregori, uno dei quali, in arte Grechi, è il titolare di quest'album a stelle e strisce fin nell'anima, ma più che altro "a deserti e cowboys". Il fratellino scrisse "I cowboys vanno a cavallo/ nell'Arizona dei nostri cuori" e il fratellone invece il cowboy lo fa e da tempo. Cappellaccio Stetson in testa, cravatta a cordino di cuoio, immancabili stivali, Luigi Grechi percorre l'Arizona dei nostri cuori donandoci esattamente il fondale sonoro ideale per i film western che non si girano più. E questa volta l'obiettivo è centrato in pieno, con una carica e un'energia che non gli si riconosceva più da molto tempo. (Nell'immagine il ritratto di Luigi Grechi fatto da Alessio Lega e riportato sul cd)
Avion Travel, il manierismo e la grande interprete
di Leon Ravasi | 17 aprile 2003 ore 10:47
Non riuscivo a capire cosa non mi piacesse negli Avion Travel. In fin dei conti il loro tipo di musica, acustica con reminiscenze di classica a me piace, la chitarra di Fausto Mesolella disegna arabeschi con cui, in linea di principio, è difficile non essere d�accordo. Pure col progetto Avion in generale mi trovo abbastanza d�accordo: rivisitare la musica �Bassa�, utilizzando alcuni degli stilemi della musica �Alta�. E così di volta in volta si fanno rivivere con assoluta civiltà �Storia d�amore� di Celentano, �Ma che freddo fa� di Nada, �Insieme a te non ci sto più� della Caselli� e altro. E allora? Cosa non funziona? La voce! La tanto decantata voce teatrale di Peppe Servillo io non la posso soffrire!
Il bel
di Leon Ravasi | 16 aprile 2003 ore 00:18
Ivano Fossati ha valicato la barriera dai 50 anni un paio d’anni fa. Da lì in poi ha deciso che era ora di finirla di fare il cantautore impegnato e di iniziare a togliersi qualche sfizio e non ne ha più azzeccata una. Un pretenzioso disco solo musicale, dove giocava a fare il giovane Keith Jarrett con risultati modesti, una canzone per la Mannoia, al di sotto del loro standard reciproco, un aborto di testo celentanesco per Celentano, accompagnato da uno zero musicale, un insulso libercolo autocelebrativo per Einaudi, con accluso un cd vuoto di idee . Infine arriviamo a un nuovo disco a inizio 2003. Da questi presupposti mi attendo tutto il male possibile. Tardo ad acquistare il disco, nella speranza che arrivi una copia furtiva (che non arriva). Tardo ad ascoltarlo. Ma faccia male. Il disco è piacevole. Peccato che sia un lp, un 33 giri in vinile e ce lo gabellino per cd.
Ratatuie, con 10 anni di ritardo...
di Leon Ravasi | 03 aprile 2003 ore 10:56
"Percorsi di musica sghemba". Era un titolo degli Yo Yo Mundi, ma è anche il percorso con cui la musica ci gira attorno. Non si riesce mai ad identificar el’itinerario da cui ci cadrà addosso e quindi nemmeno l’impatto, che dipende dall’angolo di incidenza, dalla velocità relativa, dalla rifrazione della luce, ma soprattutto dal piacere istantaneo. Può quindi capitare che un disco stia in giro per 10 anni prima di arrivare, in modo sghembo, sul mio lettore. E se a qual punto piace? Abbiamo perso 10 anni? “Ratatuie” dei Mitili Flk ha seguito questa strada. Meno male che, alla fine, è arrivato. (Ps: Ratatuie significa: ciò che si scarta, che si getta via perché inutile)
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